A questo sacrosanto obiettivo credo andrebbe aggiunto un nuovo trattato: un intervento obbligato dell’Unione nella forma di finanziamento diretto agli stati che superano un certo tasso di disoccupazione, poniamo il 6/7 percento.
Si tratterebbe di finanziare politiche di lotta alla disoccupazione naturalmente controllate e vincolate da regole europee che si indirizzino ai settori agroalimentare, delle energie rinnovabili, dei trasporti compatibili, della riqualificazione e salvaguardia del territorio e della cultura. È una proposta non nuova, che dovrebbe qualificare in positivo la nostra campagna che non è fatta solo di critiche, come quelle di coloro che credono sia sufficiente battere i pugni sul tavolo, senza proposte o progetti.
Naturalmente i fondi non entrerebbero nei bilanci degli stati e nel computo del deficit e realizzerebbero un primo passo nella direzione dell’unione politica e federale degli stati, definendo una politica economica di sviluppo comune.
I dettagli tecnici andranno discussi e messi a punto tenendo conto delle differenze tra gli stati: per esempio in Italia la questione prioritaria resta la disoccupazione giovanile e la percentuale di occupate donne più bassa della media europea.
L’altra Europa che vogliamo deve partire da qui, da priorità e solidarietà che uniscano i popoli e i paesi invece che dividerli come hanno fatto le politiche di austerità.